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Scritto da Vinicia Tesconi
Cultura
19 Luglio 2025

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Molte persone si sono presentate con uno dei suoi due libri in mano e l’hanno attesa, nel meraviglioso giardino di Palazzo Binelli, già da mezz’ora prima dell’inizio dell’evento. Un pubblico eterogeneo sia per sesso, sia per età: la miglior conferma di successo per uno scrittore. Ma, di conferme, non ha certo bisogno Roberta Recchia, autrice di Tutta la vita che resta (Rizzoli 2024) e di Io che ti ho voluto così bene ( Rizzoli 2025), letteralmente “caso letterario” italiano, esploso con il primo romanzo con 150 mila copie vendute e la traduzione in 16 lingue, confermato dal secondo, che, pur uscito da circa un mese, sta già scalando la classifica dei best sellers.  Come aveva già fatto l’anno scorso, Roberta Recchia è venuta a Carrara a promuovere il suo nuovo romanzo, ospite della rassegna Voce all’autore nella serata di venerdì 18 luglio. A dialogare con lei, dopo una breve introduzione dell’assessore alla cultura del comune di Carrara Gea Dazzi,  Eleonora Ebainetti, giovane psicologa di Sarzana, scelta  da Gea Dazzi nell’ambito di una politica volta a valorizzare i giovani talentuosi del territorio, per presentare gli eventi culturali. Ebainetti ha abilmente  tenuto la conversazione sul piano dell’indagine psicologica dei personaggi e della trama del romanzo, cogliendo perfettamente un sentimento diffuso e conclamato in tutti gli spettatori: la comune percezione di  realtà dei personaggi, della vera, sfaccettata umanità rappresentata da Roberta Recchia, cosa che è, forse, la sua capacità più potente. I  personaggi di Roberta Recchia, che ruotano, in entrambi i romanzi, intorno alla stessa traumatica vicenda, esaminata da coraggiose angolazioni diverse, senza mai fare sconti alle debolezze di alcuno, senza cedere a romanzeschi buonismi, hanno quasi una capacità vitale autonoma: escono dal romanzo ed entrano nella vita del lettore, lasciando l’incredibile e rara sensazione di averli conosciuti davvero, nella vita reale. Un talento, quello di rendere profondamente vividi i personaggi, che si incontra solo nei grandissimi della letteratura di ogni tempo. Recchia lo possiede, forse quasi inconsapevolmente, secondo quanto ha affermato nel corso della serata: “I miei personaggi escono fuori da soli e io mi limito ad osservarli, senza mai cercare di piegarli a quelle che sarebbero le mie scelte”. L’autrice ha contribuito a mantenere sul piano psicologico la conversazione  con la conduttrice e con il pubblico che è intervenuto con molte domande e la sensazione diffusa è stata quella di parlare di persone vere, di fatti realmente accaduti: nessuno ha fatto domande sulla sua storia di scrittrice e sulle sue scelte stilistiche, tutti erano completamente rapiti da una storia  e da personaggi così autentici da esser scambiati per veri. Lo strumento principe usato da Roberta Recchia e confermato dalle sue stesse parole è la sospensione del giudizio: la scrittrice restituisce figure totalmente umane, nel buono e nel cattivo che c’è in ognuno e non si sbilancia mai a spingere il lettore verso ciò che lei ritiene giusto. Quindi chi legge resta travolto dallo specchio di se stesso, che trova all’interno delle trame dei suoi romanzi e poco importa se le due vicende sono ambientante intorno agli anni ’80, con estensioni fino a una ventina di anni dopo, perché è l’animo umano il focus della ricerca della scrittrice. Lei stessa ha spiegato: “La scelta di quella collocazione temporale è stata obbligata: la storia non avrebbe potuto avere quegli sviluppi,,+ ambientandola nel presente. Tuttavia gli agganci con l’attualità sono tantissimi, dal femminicidio, ai rapporti famigliari impostati sulla superficialità, alla ricaduta gravissima del trauma, non solo su vittima e carnefice, ma anche sulla  cerchia di persone vicine”. Recchia ha spiegato le dinamiche mentali dietro alle azioni dei suoi personaggi, anche lei come se stesse parlando di persone esistite davvero, veramente altre da lei, che pure ne è l’artefice e questo ha contribuito a dare la sensazione a molti dei presenti che quei personaggi fossero lì: la zia Mara con la sua umana diffidenza, il padre direttore del collegio cattolico con la sua ironica empatia, lo zio Umberto con il grande cuore disposto a riparare qualcuno dei danni della vita e, soprattutto Luca, il protagonista, con la forza che gli fa attraversare un inferno di cui non ha colpa, pur continuando a voler essere una brava persona. Grande romanzo, grande scrittrice, bellissimo incontro.

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