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Scritto da Redazione
Cronaca
23 Luglio 2025

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Alla luce della seduta pubblica della Commissione consiliare sul Regolamento del Verde del 16 luglio Associazione Arca ha reso pubbliche alcune considerazioni preliminari di metodo, soffermandosi su specifiche affermazioni emerse durante l’incontro. “L’efficacia di un’amministrazione – fanno notare da Arca -  si misura fin dalla fase iniziale dei procedimenti, cioè dal conferimento degli incarichi. È compito dell’ente avere consapevolezza della complessità dell’incarico da affidare, così da definire con rigore metodologico i requisiti professionali necessari. In mancanza di ciò, non si può garantire né una selezione trasparente e meritocratica, né un risultato tecnicamente e politicamente adeguato. Le conseguenze sono evidenti: l’intero impianto rischia di essere compromesso fin dall’origine. Tutto questo presuppone una competenza istituzionale chiara e presente, che – dobbiamo onestamente dirlo – raramente abbiamo riscontrato nel settore del Verde. Le condizioni di degrado e le immagini di distruzione del patrimonio arboreo urbano parlano da sole. A conferma di questa mancanza di competenza, in contesti ufficiali è più volte emersa una dichiarata estraneità alla materia, fino ad arrivare a dichiarazioni pubbliche che sanciscono la totale delega ai tecnici, come nel caso del  sindaco di Carrara Serena Arrighi, durante l’incontro del 21 marzo scorso. Una delega abdicativa, che anziché valorizzare la sussidiarietà, finisce per deresponsabilizzare la politica e tradisce l’assenza di una visione strategica.

In incontri precedenti con assessori e consiglieri, abbiamo rilevato un quadro preoccupante: scarsa consapevolezza della complessità del tema, ricorso a pregiudizi e luoghi comuni, affermazioni fuorvianti che anziché contrastare l’ignoranza diffusa, la alimentano. Questo quadro complessivo ci induce a nutrire forti perplessità sull’adeguatezza della fase istruttoria del Regolamento e del futuro Piano del Verde, che appaiono compromessi fin dalla partenza, con inevitabili ripercussioni negative sul risultato finale. I Piani del Verde comunali, come affermato dall’ISPRA, devono proporre una visione sistemica, capace di coniugare la tutela del capitale naturale con i grandi temi della sostenibilità urbana: giustizia ambientale, riduzione del consumo di suolo, adattamento ai cambiamenti climatici, connettività ecologica, salute pubblica, mobilità attiva, rigenerazione delle aree dismesse, valorizzazione multifunzionale degli spazi agricoli, monitoraggio della biodiversità e coinvolgimento attivo della cittadinanza.

Tutto questo emerge chiaramente nei dieci Piani del Verde analizzati da ISPRA – tra cui quello della vicina Livorno. E da noi? Esiste davvero la consapevolezza della necessità di una competenza multidisciplinare (agronomi, ecologi, urbanisti, storici del paesaggio)? Esiste un’impostazione trasparente e partecipativa? La risposta è negativa. Gli indizi sono numerosi: ritardi, lentezze, opacità nelle nomine. In base alle delibere consultabili, non risultano essere stati definiti criteri pubblici di selezione, né standard qualitativi elevati. Ciò indica un approccio prevalentemente formale, volto più a "soddisfare" un obbligo istituzionale che a pianificare seriamente. Con queste premesse, anche il Regolamento  scritto nella maniera migliore rischia di risultare inefficace e inapplicabile. E, a una prima lettura del testo presentato, le nostre previsioni trovano purtroppo conferma: manca una visione ecologica e culturale, manca un vero radicamento nel territorio, manca qualsiasi riferimento al paesaggio identitario della nostra città. A breve, consegneremo un resoconto approfondito. In questo contesto, una frase pronunciata durante la seduta dal tecnico incaricato della redazione del Regolamento, merita una riflessione più approfondita per il suo valore rivelatore. “Le piante non sono statiche: invecchiano, si ammalano, si piegano e cadono. Non dobbiamo essere ingessati, ma dinamici.” Un’affermazione solo in apparenza neutra, che – soprattutto alla luce delle azioni concrete dell’amministrazione – risulta ambigua e pericolosa. È una frase evocativa, ma priva di fondamento tecnico, usata come giustificazione implicita per interventi distruttivi e procedure opache. Se per “dinamismo” si intende la possibilità di abbattere alberi sani senza analisi approfondite, allora non è dinamismo: è arbitrio.

Volendo leggerla in modo benevolo, possiamo considerarla una banale ovvietà – sì, le piante vivono, crescono, si trasformano. Ma proprio per questo servono: monitoraggio scientifico, attenzione ecologica, trasparenza nei processi e competenze integrate. Serve adattabilità, certo, ma non superficialità. E gli alberi non sono "arredi". Se la frase la si interpreta invece in modo realistico, alla luce del contesto locale – Carrara, dove decine di pini sono stati abbattuti con perizie spesso deboli o visive – essa assume un valore operativo e giustificativo diretto: normalizza l’abbattimento come prassi, svuota la tutela di significato, discredita il valore storico e paesaggistico degli alberi. Ricordiamo che l’agronomo in questione è lo stesso che ha redatto la perizia per l’abbattimento di oltre 50 pini in Salita di San Ceccardo, senza indagini strumentali, in pieno periodo di nidificazione, senza piano di compensazione ecosistemica, e senza valutare se l’area ricadesse sotto vincoli paesaggistici o culturali (attirando anche la denuncia di GrIG e LIPU). Domanda: è stato rispettato il principio di rotazione degli incarichi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 36/2023? In sostanza, la frase suona così: “Siccome le piante muoiono, possiamo abbatterle. Non possiamo essere troppo rigidi. È la vita.” Ma proprio perché le piante sono esseri viventi, è necessario il contrario: monitoraggio continuo, valutazioni accurate, precauzione, trasparenza. L’affermazione è retorica e strumentale, mascherata da una finta saggezza naturalistica, che mina l’idea stessa di tutela come atto strutturato e responsabile. Gravissimo è anche il contenuto di un’altra frase pronunciata dallo stesso agronomo:“Il verde non può essere un impedimento a fare altre cose.” Esegesi e sintesi della visione tecnico-politica carrarese: il verde come ostacolo. E invece dovrebbe essere vincolo attivo, diritto urbano, bene comune. In conclusione, chiediamo: Trasparenza negli incarichi e nelle perizie; Revisione realmente partecipata del Regolamento; Vincoli ecologici chiari per abbattimenti e potature; Piena tutela delle alberature storiche e delle pinete costiere; Obbligatorietà di perizie strumentali  per ogni abbattimento non emergenziale; Divieto assoluto di potature e abbattimenti durante la stagione riproduttiva dell’avifauna; Istituzione di un organismo indipendente di verifica delle perizie; Coinvolgimento sistematico di competenze ecologiche (faunisti, botanici, architetti, ecologi urbani, storici del paesaggio).

C’è bisogno di una politica del verde che non sia strumento tecnico accessorio, ma parte integrante di una visione urbana ecologica, democratica e lungimirante.

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