Associazione ARCA - Insieme per la rigenerazione e per la cura dell'ambiente ha commentato il finanziamento privato per adeuare lo stadio della Carrarese alla serie B: "Con l’articolo 21 del Regolamento degli Agri Marmiferi, chi realizza un’opera “di interesse pubblico” ottiene proroghe estrattive da decine di milioni. Ora il concessionario – che è anche proprietario della Carrarese – finanzia l’ampliamento dello stadio in cambio di tempo e potere. Il Comune applaude. La democrazia arretra. Carrara cambia volto «grazie al gioco di squadra» tra Comune, imprese del marmo e Carrarese Calcio 1908. Così la sindaca ha presentato l’operazione: ristrutturazione integrale dello stadio dei Marmi – nuova Curva Nord, rettilineo, spogliatoi, capienza a 5.500 posti – con 3 milioni di euro messi sul tavolo da Gemignani & Vanelli Marmi e da Ingegner Giulio Faggioni (IGF Marmi). Peccato che quel “gioco di squadra” somigli piuttosto a una partita truccata. Le imprese, concessionarie di cava, grazie all’articolo 21 del Regolamento degli Agri Marmiferi (che consente proroghe in caso di realizzazione di opere di “interesse pubblico”), ottengono estensioni pluridecennali. Nel caso specifico, poi, una di esse, Gemignani-Vanelli, è anche proprietaria della Carrarese Calcio 1908, squadra che trarrà un diretto vantaggio patrimoniale e sportivo dall’opera. Si configura così un conflitto d’interessi palese e gigantesco. Un cortocircuito perfetto che in qualsiasi amministrazione moderna dovrebbe far scattare un allarme democratico: qui vengono minati trasparenza, separazione dei ruoli e valutazione imparziale del pubblico interesse.
In parole semplici: chi scava paga l’ampliamento dello stadio dove gioca la squadra che possiede, e in cambio ottiene anni di escavazione di una risorsa naturale che appartiene a tutti. Non è un baratto: è l’illusione di un baratto. Nel baratto le parti hanno un valore simile; qui si scambia un investimento da 3 milioni per proroghe che fruttano decine di milioni. I dati ufficiali parlano chiaro: secondo il comune di Carrara, i valori medi dei marmi più pregiati sono saliti del 30 per cento rispetto al 2020. Un blocco di Calacatta o Statuario vale oggi 7.677 euro a tonnellata. Una cava ne estrae decine di migliaia all’anno. Nel 2023, il Comune ha incassato 26 milioni in canoni e contributi, una cifra ridicola rispetto a un giro d’affari che supera il miliardo. Alla collettività restano meno di 25 euro per tonnellata estratta.Carrara non riceve un ospedale, una scuola o un campus: riceve un ampliamento dello stadio. È il nuovo feudalesimo: i signori delle cave offrono un contentino e ottengono il dominio sul contado. Solo che qui spariscono le Apuane.Leggendo i progetti finanziati per ottenere proroghe, ci si chiede se gli amministratori sappiano ancora di vivere in una democrazia del XXI secolo o in uno staterello pre-unitario. Questo mecenatismo è una forma elegante di elemosina, e l’amministratore che lo accetta impersona un ruolo regressivo: è il funzionario del signorotto, non un rappresentante del popolo. Il meccanismo è sempre lo stesso: lo stato si ritira, il comune non tassa chi più guadagna, ma accetta un favore. La rendita si trasforma in potere politico. Il concessionario sceglie l’opera da finanziare e la classe dirigente da sostenere. Il comune si limita a ratificare, non a governare. Eppure l’articolo 53 della Costituzione è chiaro: le tasse si pagano in base alla capacità contributiva, e le entrate devono servire al bene pubblico. Tassare il marmo al giusto prezzo è un dovere costituzionale. Invece, a Carrara si accetta l’obolo del potente.
In questa città, l’estrazione è chiamata imprenditoria. Ma non c’è nulla di imprenditoriale nel vendere una risorsa che giace nel suolo. Nessun rischio, nessun ingegno. Solo fortuna geologica. E chi detiene questa rendita, non investe, non assume, non innova: scava. E quando la concessione scade, offre un teatro, una curva, una piazza. Carrara è la versione italiana del modello cinese in Africa: infrastrutture in cambio di materie prime. Ti costruiscono una strada e si portano via il coltan. Qui ti offrono uno stadio e si prendono le montagne. Il vero scandalo non è che i concessionari finanzino opere pubbliche. È che siano loro a decidere quali opere, quando, a che prezzo. Le assemblee elettive non decidono, ratificano. Le priorità non emergono da un piano pubblico, ma da interessi privati. Il comune di Carrara aveva già messo a bilancio i fondi per lo stadio. Ma si è fermato. Ha preferito il patto privato. Ha dismesso il bilancio in favore della trattativa. E intanto la città è a pezzi: scuole, strade, frazioni, edilizia popolare, piscine. Tutto manca. Ma lo stadio avrà la sua curva. La Carrarese giocherà in casa. E il padrone del marmo dormirà sereno. In tutto ciò, non c’è nulla di inevitabile. Solo un gigantesco inganno democratico. Il calcio diventa coperta, oppio delle Apuane. Basta la curva nuova perché molti smettano di pensare. Accettano lo scambio come tifosi, non come cittadini. Così si applaudono operazioni che, in altri contesti, farebbero gridare allo scandalo.
E allora chiediamoci: è davvero follia pretendere che le cave paghino il giusto? Che lo stadio si faccia con soldi pubblici, frutto di canoni equi? Che la rendita venga tassata e ridistribuita? Un vero amore per Carrara non è cieco tifo. È difendere le montagne, pretendere trasparenza, imporre che le risorse della città restino alla città. Il vero tifoso dovrebbe guardare oltre il rettangolo di gioco. Notizia appena diffusa: gli abbonamenti aumenteranno fino al 60 per cento perché la curva è nuova. Così, mentre i tifosi pagheranno di più per sedersi su una gradinata regalata con i soldi delle loro montagne, il vero derby lo stiamo perdendo tutti: quello tra il futuro di Carrara e gli interessi di chi ha trasformato le Apuane in un bancomat di marmo".