Associazione ARCA replica al post su facebook messo dall'ex assessore al sociale della giunta 5 Stelle di Carrara Anna Galleni: "Leggiamo con attenzione una lunga replica, messa sulla sua pagina facebook, alla nostra denuncia civica sul caso dell’Ex Hotel Mediterraneo. Rispettiamo l’impegno passato e comprendiamo l’attaccamento a un percorso amministrativo complesso. Ma ricordiamo che difendere il proprio operato, legittimamente, non implica delegittimare il diritto alla critica pubblica, né accusare chi solleva interrogativi legittimi su un’area urbana chiusa, degradata, cementificata da oltre dieci anni. Non abbiamo mai sostenuto che l’acquisto del compendio fosse “immotivato”, ma che è avvenuto senza un piano coerente di restituzione alla collettività, e con un silenzio imbarazzante sulle obbligazioni ambientali disattese. Abbiamo detto – e confermiamo – che quell’acquisto è avvenuto a condizioni sbilanciate, con una rinuncia totale a ogni pretesa risarcitoria e con il paradosso di riconoscere valore patrimoniale a una colata di cemento interrata, funzionale a un progetto edilizio privato mai realizzato, senza alcuna reale riparazione ambientale, poiché il verde vincolato non è stato ripristinato. Il danno, dunque, non è solo economico: è paesaggistico, ecologico, sociale.
La retorica del “garage che basta solo svuotare” ignora l’assenza di un collaudo sanitario; il rischio legato alla falda superficiale (a 30 cm); la mancata pubblicazione delle analisi geologiche; l’assenza di un piano di sicurezza o bonifica. Inoltre, si invocano oggi i “boschi verticali” come ispirazione, ma è ben diverso costruire un grattacielo da zero e mettere un giardino su una colata di cemento interrata che avrebbe dovuto essere rimossa. Il cosiddetto “verde pensile” dell’ex Mediterraneo non può in alcun modo ospitare alberi veri e il giardino storico che DOVEVA essere ripristinato: il substrato è sottile (30-50 cm), non esiste continuità ecologica, e i costi di irrigazione e manutenzione sono elevatissimi e a carico perenne della collettività. In compenso, il cemento sotto resta. La biodiversità no. Anziché pretendere la rimozione di quella colata (opera incompleta e impattante), si è scelto di acquistarla e valorizzarla come bene patrimoniale. È un ribaltamento concettuale. Non si può definire “valore pubblico” un’opera che andava rimossa o completata secondo gli impegni, e che oggi resta un danno ambientale e paesaggistico. Questa non è rigenerazione urbana: è maquillage.
Del giardino storico, si dice che “non è stato oggetto di compravendita”, ma si omette di dire che era vincolato paesaggisticamente; che era stato autorizzato alla sola rimozione temporanea, con obbligo di ripristino e che tale ripristino non è mai avvenuto. E questo è un dato, non un’opinione. Il processo partecipativo (promosso dall’amministrazione successiva, sia chiaro) non ha mai preso in considerazione la demolizione del cemento. L’unica opzione coerente – ripristinare il giardino originario su suolo vivo – è stata esclusa a priori. E ogni voce critica è stata marginalizzata. Ma questo è il nodo di fondo: la difficoltà a tollerare che la cittadinanza possa chiedere chiarezza, rigore, trasparenza. Si può discutere su molte cose. Ma se si parte dall’assunto che una colata di cemento privata (che andava rimossa o completata secondo gli impegni originari) sia da “valorizzare”, allora viene meno qualsiasi terreno per un confronto onesto e con un ribaltamento della logica. Quel cemento è un danno paesaggistico perpetuato e il vero costo ricade sulla collettività, oggi e domani.
Si accusa chi solleva critiche di “non essersi documentato”. Eppure, il nostro dossier cita atti pubblici, relazioni tecniche e sentenze. La differenza non sta nei fatti, ma nell’interpretazione: per noi viene prima l’interesse ambientale e collettivo, non il compromesso amministrativo. Rivendichiamo che un dossier civico non è un atto notarile, ma uno strumento critico, utile a sollevare domande pubbliche. E che la partecipazione democratica non è lesa ma arricchita da cittadini informati. Chi solleva problemi non è il problema. E chi denuncia non va colpevolizzato, ma ascoltato. Perché la vera offesa non è il dossier. È l’indifferenza davanti a 5.500 metri quadrati di degrado e cemento nel cuore della città. Siamo consapevoli che si è dovuto affrontare una situazione incancrenita da un decennio, ereditata, e che la complessità della vicenda Mediterraneo non può essere imputata a una sola fase amministrativa. Ed è un fatto che anche l’amministrazione successiva non ha saputo – finora – offrire una visione risolutiva, né all’altezza delle promesse di rigenerazione urbana.
Per questo chiediamo a tutte le forze civiche, culturali e politiche della città di superare personalismi, difese d’ufficio e campanilismi, e tornare a confrontarsi pubblicamente, sul merito, con spirito di verità e responsabilità. Le varie amministrazioni succedutesi hanno tutte contribuito a lasciare un vuoto degradante nel centro di Marina, e onestà intellettuale sarebbe assumersi le responsabilità di ciò. I fatti elencati nel nostro comunicato sono inconfutabili e "arrampicarsi sui giardini pensili" non fa onore. L’ex Mediterraneo non è solo una questione tecnica. È lo specchio della città che vogliamo (o non vogliamo) essere".