Una ricerca accurata da parte di Florida Nicolai ha portato a conclusioni molto interessanti sull'abbattimento dei pini della salita di San Ceccardo: "Il caso del taglio dei pini della Salita di San Ceccardo, a Carrara, non è soltanto una questione ambientale o paesaggistica. È, prima di tutto, una questione di legalità e di buona amministrazione. In discussione non è tanto – o non solo – la scelta di abbattere una storica alberatura urbana, quanto il modo in cui tale decisione è stata assunta: in apparente contrasto con principi fondamentali di corretta valutazione tecnica, trasparenza amministrativa e rispetto delle normative vigenti, nazionali ed europee.
Nel 2020, su incarico del Comune, viene redatta una prima perizia agronomica sui 60 pini allora presenti lungo la salita di San Ceccardo. La metodologia adottata è esclusivamente visiva, senza l’impiego di indagini strumentali avanzate. Nonostante l’approccio limitato, i risultati parlano chiaro: solo 3 alberi risultano classificati in Classe D (estrema), mentre la maggioranza rientra nelle classi C/D, C e persino B, ovvero condizioni gestibili con interventi di manutenzione. Nonostante questo, il perito propone l’abbattimento integrale dell’alberata, in evidente contraddizione con i criteri di gestione conservativa degli alberi urbani, peraltro citati dallo stesso professionista nella premessa alla relazione. L’amministrazione comunale in carica all’epoca, guidata dal Movimento 5 Stelle, a quanto risulta sceglie di non dare seguito alla perizia, ritenendola probabilmente carente sotto il profilo tecnico, scientifico e giuridico. Nel 2023, con l’arrivo della nuova amministrazione Arrighi, viene affidata una seconda perizia a un diverso agronomo, incaricato di valutare lo stato dei 54 pini superstiti, perché nel frattempo (marzo 2023) ne sono stati abbattuti 6. Anche in questo caso, l’analisi è condotta unicamente con esame visivo. I risultati confermano, se possibile con ancora maggiore nettezza, quanto già emerso nel 2020: nessun albero rientra nella classe di pericolo imminente. Eppure, anche questa volta, il perito propone l’abbattimento generalizzato, senza fornire motivazioni puntuali, scenari alternativi o proposte di gestione conservativa.L’amministrazione decide allora di procedere con l’intervento. E lo fa in una tempistica particolarmente critica: i tagli avvengono nel mese di marzo (come già accaduto l’anno precedente), in pieno periodo di nidificazione dell’avifauna, sollevando seri dubbi di legittimità rispetto alla Direttiva 2009/147/CE sulla tutela degli uccelli selvatici, recepita nell’ordinamento italiano con la Legge 157/1992. Tali norme, all’articolo 5 della direttiva e all’articolo 21 della legge, vietano esplicitamente qualsiasi azione che possa disturbare, danneggiare o distruggere habitat di nidificazione. Se tali atti risultassero intenzionali, potrebbero configurare anche reati ai sensi dell’art. 544-ter del Codice Penale (uccisione o danneggiamento di animali), oltre a violazioni amministrative. Eppure, non risulta che alcun ente preposto – né il Corpo Forestale dei Carabinieri né le autorità comunali – sia intervenuto per accertare eventuali infrazioni. Un ulteriore elemento critico è rappresentato dalla mancata verifica dei vincoli culturali e paesaggistici. La Salita di San Ceccardo, con il suo filare ultracentenario, potrebbe rientrare tra i beni tutelati ai sensi del Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004). In base all’art. 21 del decreto, qualsiasi intervento che alteri l’aspetto di un bene culturale richiede una preventiva autorizzazione da parte della Sovrintendenza. Tuttavia, ad oggi, non risulta né un parere rilasciato né una richiesta inoltrata all’autorità competente, configurando una possibile e grave omissione istruttoria da parte dei tecnici incaricati e dell’amministrazione comunale. Va inoltre chiarito che il parere di un agronomo, per quanto autorevole, non ha valore vincolante: costituisce un elemento istruttorio, non una delega automatica di responsabilità. L’ente pubblico resta, per legge (art. 1, L. 241/1990; D.lgs. 267/2000), responsabile in via esclusiva degli atti adottati. E quando – come dichiarato pubblicamente – la sindaca afferma di “non essere esperta di verde, per cui deve affidarsi a esperti”, questo non esime, ma semmai impone un livello ancora maggiore di attenzione nella scelta dei consulenti, nella valutazione delle perizie e nel controllo delle conseguenze legali delle decisioni amministrative. In questo contesto, appare evidente il rischio che la seconda perizia sia stata utilizzata non come strumento di analisi imparziale, ma come giustificazione formale a una decisione già maturata su basi urbanistiche o progettuali. In tal caso, si tratterebbe di un uso improprio della consulenza tecnica, con possibili profili di danno erariale se fosse dimostrata l’infondatezza della spesa pubblica sostenuta. A rendere ancora più paradossale l’intera vicenda, si aggiungono le assurde riunioni tra comune e associazioni ambientaliste, come quella già avvenuta con Legambiente e come quella che si terrà domani (7 maggio) con Italia Nostra: solo dopo l’abbattimento, le associazioni sono state convocate per un incontro con l’amministrazione comunale, con l’obiettivo dichiarato di “coinvolgerle” nelle decisioni relative alla gestione del verde. Un’iniziativa che, se fosse stata attivata per tempo, avrebbe rappresentato un segnale positivo di apertura e trasparenza. Ma convocare la cittadinanza a valle di un intervento già deciso e realizzato, su una questione tanto delicata quanto irreversibile, non può essere considerata vera partecipazione. Si tratta, piuttosto, di una simulazione partecipativa a posteriori, che contrasta non solo con i principi di democrazia ambientale ma anche con il senso del ridicolo. La partecipazione, per essere autentica, deve precedere le decisioni, non inseguirle. Nel pieno della crisi climatica, con le città chiamate ad ampliare le aree verdi, a proteggere il patrimonio arboreo esistente e a rispettare standard minimi di qualità ambientale – come il principio delle “3–30–300” (3 alberi visibili da ogni abitazione, 30 per cento di copertura arborea nei quartieri, massimo 300 metri di distanza da un’area verde) – Carrara sembra muoversi in direzione opposta: si continua ad abbattere senza piani di compensazione credibili, senza trasparenza procedurale e – cosa più grave – in violazione di norme ambientali e paesaggistiche. Il caso della Salita di San Ceccardo non è un semplice incidente tecnico. È un caso esemplare di cattiva amministrazione. E, come tale, merita attenzione, vigilanza e – se necessario – intervento da parte degli organi competenti".