Dopo il caso, giustamente (o no?) mediatico del ragazzo del ragazzo di Padova che si è rifiutato di sostenere l’interrogazione orale dell’esame di maturità, a ruota, altri tre maturandi con la promozione matematica in tasca e la rivendicazione già confezionata del “protesto contro il sistema dei voti scolastici” hanno replicato il gesto, ottenendo, anche loro, la loro porzione di quel quarto d’ora di gloria che, teoricamente, spetta a tutti. Nello stupido mondo che ha scambiato i social per la realtà e ha trasformato i like in soldi per i furbi e in illusione di consenso per quasi tutti gli altri insulsi tuttologi della rete, nulla poteva esserci di meglio della “protesta” di Gianmaria Favaretto, il ragazzo di Padova che per primo ha scelto di non sostenere l’orale della maturità, per dare la stura alle cento milioni di analisi sociologiche, psicologiche, filosofiche, patologiche di esperti veri, sedicenti esperti, esperti di “’sta cippa” e idioti conclamati, senza soluzione di continuità e senza distinzione di valore e autorevolezza, perché i social – che, forse, come unico merito (e come principale colpa) hanno quello di mettere tutti sullo stesso pulpito – non distinguono e non permettono, il più delle volte, di distinguere, se sta parlando una persona sensata o un deficiente. E allora il pecorone gregge di umani con tastiera ha rimbalzato viralmente osservazioni intelligenti, copiaincollate da qualche “saggio” sommerso nel mare di lettori di titoli (di libri, di articoli, di post), e banalità personali ed anche veri e propri deliri, il tutto sempre in modalità ultras, che ormai non abbiamo più alcun modo per vedere la realtà che non sia: se non la pensi come me, sei mio nemico. Consapevole di essere un’identica voce nello stesso mare di melma (lm/rd) e soprattutto dopo aver letto buona parte di non richieste (a loro) spiegazioni sulle motivazione del gesto di questi ragazzi, mi è parso di non aver trovato, quasi in nessuno, un punto di vista basico, elementare e il più consapevole possibile della realtà, che sento di dover sottolineare.
Se sei già promosso, perché dovresti sottoporti a un’altra prova?
È semplice. È infinitamente logico. È immensamente maturo. Se il risultato l’hai già portato a casa non c’è alcun motivo per sprecare energie inutili. Il voto più alto, la bella figura, la soddisfazione di prof e genitori? Non servono a nulla nel resto della vita che comincia il giorno dopo l’esame di maturità. Lo sapevano già i boomer – a cui io appartengo - che, spesso, si accontentavano di un sei in pagella per non fare un’interrogazione in più per migliorare la media. Figurati se non lo sanno i ragazzi di oggi che non distinguono il reale dal virtuale e che hanno infiniti modelli di successo ottenuto senza alcuna competenza, merito, studio, ma con la sola capacità di trovare una qualsiasi, anche becera caratteristica, che faccia loro accumulare followers. Minimo sforzo, massima resa. Questo è vincente. Poco poetico, ma logico. E questo, sì, vero. Lo ha dimostrato Favaretto e i suoi emuli, che sono solo i primi di una serie che sarà lunghissima, anche se il ministro Valditara ha tuonato di fronte alla stalla vuota che dal prossimo anno chi non sosterrà l’orale sarà bocciato. Come se il problema fosse quello: l’orale della maturità e non uno scollamento incolmabile tra ciò che vivono e pensano veramente i ragazzi e i ravvedimenti postumi di adulti che nemmeno si accorgono di aver dato solo pessimi esempi. Valditara e i suoi predecessori degli ultimi anni hanno dimostrato di non aver neppure una vaga idea di come funziona veramente quela scuola di cui loro dovrebbero essere i massimi referenti.
Ad esempio. Se il ministero della cultura ti consente di monetizzare in crediti formativi quasi tutte le attività extrascolastiche che fai – dal calcio alla piscina, dagli scout alle lezioni di chitarra o di make up, dal partecipare a un evento culturale (ignorandone beatamente il senso, il contenuto e il valore) al corso di primo soccorso (che si fa presto, è un pomeriggio, non devi ascoltare, solo stare lì), perché dovresti impegnarti per alzare i tuoi voti? Se il sistema scolastico italiano riduce la valutazione di una persona a numeri con decimali fino a tre cifre dopo la virgola e impone medie matematiche al millesimo per decretare se hai imparato qualcosa oppure no, e ben più grave, se vali qualcosa oppure no, perché dovresti faticare anche solo per un’interrogazione in più, quando la media matematica ha raggiunto il 6,000? Se in qualunque eventuale percorso universitario e, ancor di più in ogni percorso lavorativo intrapreso, il voto di maturità non viene neanche letto, perché dovresti faticare per ottenerne uno molto alto? Se poi vedi numeri magici che si moltiplicano ad personam e medie ridicole che improvvisamente premiano chi non ha mai fatto nulla e penalizzano un semplice errore di chi ha sempre lavorato bene, perché mai dovresti impegnarti per aver riconoscimenti da chi mi ha mostrato palesemente di non avere le capacità umane per giudicarti?
Io non credo che i ragazzi che hanno rifiutato di far l’esame orale alla maturità avessero in mente un disegno consapevole di protesta. Credo che abbiano solo fatto un ragionamento della più semplice, condivisibile utilità. Chi lavorerebbe due ore in più per la stessa paga? O per una gratifica di pochi inutili centesimi?
Io credo che delle logiche sociali e mentali dei ragazzi quasi nessun adulto sappia nulla, né si sia sforzato di saperne qualcosa. Per esempio in che modo l’esperienza della pandemia ha segnato veramente il loro modo di vedere il mondo. E i loro comportamenti.
Infine credo che non si possa criticare e punire un ragazzo che mette in atto nel suo mondo le dinamiche che ha visto usare dagli adulti che ha intorno. Come bestemmiare e sgridare il bambino che ripete la bestemmia. Ma non è tutto solo una questione di pessimi esempi. È soprattutto una questione di tragica, e, temo, irreversibile, incomunicabilità. La naturale contrapposizione tra giovani e vecchi, senza più il ponte del rispetto – che deve essere reciproco – ha spaccato il mondo in zolle che vanno alla deriva nell’universo. E non sono sicura che il continuo allontanarsi sia percepito come un danno.