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Scritto da Redazione
Politica
25 Febbraio 2020

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Se c'è un reparto della sanità locale che oggi, più che mai, avrebbe bisogno di professionisti altamente qualificati, con tantissime ore di servizio specifico alle spalle, è quello di rianimazione. Essenziale durante l'emergenza dovuta al nuovo coronavirus. Eppure negli ultimi due anni da quel reparto del Noa di Massa se ne sono andati circa 30 infermieri. Tutti volontariamente. Il perché, secondo la Uil Fpl di Massa Carrara, è da ricercare nei comportamenti vessatori che hanno subito senza essere tutelati dai responsabili dal servizio o dalla direzione sanitaria. Atteggiamenti ripetuti nel tempo che andavano dal demansionamento alle urla, fino alle umiliazioni vere e proprie, personale e professionali, configurando le più classiche ipotesi di mobbing o, ancor più spesso, di straining. Lo ha spiegato bene, lunedì pomeriggio, il segretario Uil Fpl, Claudio Salvadori, all'incontro del gruppo di lavoro dello sportello contro il mobbing e lo straining (che il sindacato sta costruendo, tassello dopo tassello, ormai da sei mesi), nella sede ufficiale in via Massa Avenza 26. Assente, proprio a causa dei blocchi dovuti al coronavirus, il responsabile nazionale Uil Fpl, Angelo Disma Garofalo: "Ma ci sarà – rassicura Salvadori – al corso di formazione per il gruppo sullo straining, il 18 marzo".

Pure senza una sede ufficiale, diventata operativa lunedì, il gruppo di lavoro in sei mesi dalla sua costituzione ne ha fatto di lavoro: ha vagliato racconti e testimonianze, ha raccolto prove, si è confrontato e scontrato con le dirigenze, in particolare con quella che è diventata la maxi Asl, dove i problemi si accumulano e si riprofilano su dimensioni di area vasta: "Abbiamo portato avanti diverse pratiche che si configuravano, a nostro avviso, come esempi di mobbing e straining e 16 di queste riguardavano gli operatori sanitari, infermieri soprattutto – prosegue Salvadori -. Vessazioni, demansionamenti e intimidazioni erano una prassi comune e si affiancavano ad offese gratuite, in presenza anche di testimoni. Abbiamo riscontri documentati a riguardo. Qualcuno, rivolgendosi agli infermieri, ha sostenuto che, e cito, 'non devono assolutamente esprimere opinioni ma devono limitarsi a obbedire agli ordini medici senza commentare'. E un'altra volta, dire di un infermiere che 'non è in grado di dare assistenza'', di fronte ai parenti del paziente in causa".

Molti lavoratori oggetto di mobbing e straining hanno provato anche a passare dalle strutture del 'Benessere organizzativo' per chiedere aiuto: "Ma non c'è stato niente da fare. Si tende a minimizzare quanto accade – ribadisce il segretario Uil Fpl – ed è chiaro che il confronto si trasforma in uno scontro perché noi siamo pronti a tutelare i lavoratori in ogni sede, dove esistono i presupposti di mobbing e straining che il nostro gruppo di lavoro può accertare, dando in una prima fase anche ascolto, supporto psicologico e poi legale. Abbiamo messo a corrente il responsabile del dipartimento infermieristico che ha garantito di interessarsi della vicenda". Il caso limite, certamente, rimane quello del reparto di rianimazione dove circa 30 infermieri hanno chiesto il trasferimento in soli due anni: "Nel mondo del lavoro pubblico questa è la soluzione più 'facile' per chi è oggetto di vessazioni. Molti preferiscono trasferirsi altrove invece di fare causa perché richiede tempo, energie e denaro.  E succede così che i fenomeni di mobbing o straining creano altri due danni: nel reparto viene a mancare un'alta professionalità, formata negli anni, e si apre un buco che deve essere riempito con altre figure che, nella maggior parte dei casi, devono essere formate per la realtà specifica. Noi non ci fermiamo – conclude Salvadori – e stiamo potenziando il nostro gruppo dello sportello di ascolto anti mobbing e straining per dare aiuto a tutti coloro che ne avranno bisogno".

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